Quasi non fa più notizia la spietatezza con la quale la Salernitana stritola le sue avversarie. Soprattutto in trasferta, il copione studiato e messo in pratica dai granata è diventato, ormai, un clichet. Il copione, appunto; prima fase di studio, quindi la progressiva avanzata ad occupare gli spazi assumendo in mano le redini del gioco, infine la stoccata decisiva, quasi sempre bissata nella ripresa sfruttando gli aspazi concessi dall’avversario. La storia si è ripetuta anche al Tursi di Martina in una partita dove oggi è facile dire e raccontare che la Salernitana poteva e doveva vincere, ma che invece, alla vigilia, in tanti pronosticavano come difficile e insidiosa. E la vittoria, netta, limpida, schiacciante assume ancor più significato, importanza, se si tiene conto del fatto che è stata centrata senza l’apporto di Arturo Di Napoli, giocatore simbolo di questa squdra, quello sui cui gravava, e grava tutt’oggi, il compitio di fare sempre e comunque la differenza. Sotto quest’aspetto, in virtù di quest’assenza importantissima, i tre punti raccolti in Puglia pesano ancor di più, sono ancora più importanti. L’aver vinto e convinto anche senza Re Artù accresce il tasso d’autostima del gruppo, fa diventare ancora più forte la squadra, probabilmente spazza in maniera definitiva quei dubbi di tenuta e di spessore tecnico del roster che ancora serpeggiano. Anche al storia della squadra che non pratica un calcio piacevole e scintillante, di pari passo con lo scetticismo, comincia a perdere colpi, a svanire. Come già successo a Perugia, la Salernitana anche a Martina è stata assoluta padrona del campo, ha disposto dell’avversario come e quando voleva, ha vinto meritando dando dimostrazione di forza e padronanza del palleggio. Dodici risultati utili consecutivi, un solo punto di ritardo dalla vetta occupata dall’Ancona, ma rispetto ai marchigiani migliore media inglese, miglior difesa e terzo miglior attacco del girone, i numeri rafforzano le sensazioni, legittimano le previsioni. Inducono all’ottimismo.
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